Pantelleria by Giosué Calaciura

Pantelleria by Giosué Calaciura

autore:Giosué Calaciura [Calaciura, G.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Contromano
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2016-12-14T23:00:00+00:00


La civiltà della pietra

Quanta pietra ha vomitato il vulcano. Tanta da costruirne dammusi, e rimettere in piedi quelli più antichi che non avevano calce a trattenerla, tanta da farne pareti, e pareti, e tra le pareti altre pietre piccole e terra a colmare, e altre pietre specializzate per farne spigoli, architravi, pilastri, a volte offerte dal vulcano nella forma secondo la necessità del desiderio, a volte riformulate dagli strumenti e dalla valenza degli uomini, e altra pietra per farne pavimenti e tetti di cupole impermeabili di terra e acqua che trattenessero il tesoro della pioggia conservandolo nelle cisterne di pietra scavate sottoterra.

Il dammuso chiude gli occhi ai venti dominanti e apre ingressi e finestre che guardano dove è più calmo. Il dammuso ha una storia antica e la racconta nella sua geometria, nelle tecniche costruttive, dalle pratiche preistoriche alla calce, al cemento. Agli architetti. Ottomila dammusi sono stati censiti a Pantelleria. Quattromila ristrutturati. Altra pietra servirà per non perderli. E il dammuso racconta anche il destino più recente dell’isola che la Storia aveva spinto ai margini, ruralità del mare ridotta a maceria di vulcano dopo i bombardamenti fuori scala della seconda guerra mondiale, primo lembo d’Europa strappato all’Asse, e scoperta ai consumi sparagnini dell’epoca da pochi avventurosi nordici a partire dagli anni Sessanta, milanesi di carattere e di pazienza, disposti a rientri in data incerta e approssimativa, perché la pista di Margana era quel che era e il vento di impetuosità perenne. Restavano giorni e notti in prossimità dell’aeroporto in attesa che il maestrale riprendesse fiato, giocando a poker con piloti e steward, uniti insieme nello stupore di quanto fosse ancora rudimentale l’arte del volo a elica nelle isole minori.

L’isola che non c’era fu riscoperta quando l’eroina cominciava a fare strage di ragazzi solitari nei sottoscala delle periferie e nei salotti dell’intellighentia nazionale.

Da Milano a Roma, da Napoli a Palermo sbarcavano a Pantelleria adolescenti in esilio per sfuggire ai pusher e alla loro stessa disperazione. Le famiglie li mandavano al lavoro duro della raccolta dei capperi che avrebbe dovuto avvilire il corpo per sanare lo spirito e rimettere in rotta, nessuno ha mai capito verso che cosa, la deriva di un’intera generazione.

Negli anni Settanta cominciarono le compravendite dei dammusi, tra i panteschi, contadini della diaspora che avevano cercato impieghi e futuro per i figli nel Continente e la borghesia colta che scopriva la Sicilia guardando oltre le cartoline di Taormina e Cefalù. Era ancora il turismo etnologico dei luoghi e delle cose. Pochi milioni di lire e i dammusi che custodivano le storie delle famiglie pantesche passavano di mano, cambiavano segno antropologico. Non era ancora un “progetto turistico” perché neanche l’isola madre aveva intuito che il boom economico tra i suoi corollari prevedeva le vacanze estive, le ferie al mare. Comincia qui la protostoria del turismo intelligente che fu inaugurata anche a Pantelleria dalle esperienze delle comuni. Ne fiorirono parecchie in Sicilia. Univano amore, politica e utopia. Ma anche lavoro. Per tirare avanti si andava a vendemmiare Zibibbo, a raccogliere capperi, a fare formaggio, la tumma pantesca di latte vaccino.



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